Andare al supermercato. Questo tema è già stato da noi ampliamene dibattuto, ma adesso signori arriva la versione estiva.
Stamattina ho realizzato che non siamo più nell'Ottocento-Novecento-millecinquecento-scatole-d'argento, indi i miei graziosi svenimenti dovuti al caldo non possono più essere tollerati. Anche perché se nell'Ottocento la damina si sarebbe svegliata tra le braccia di un virile medico con folti favoriti, una boccettina di sali sotto il naso e, scandaloso brivido di piacere, il corsetto sbagliato, il massimo che mi tocca oggi è una bottiglia d'acqua svuotata in testa dalle amiche dell'università. Fate vobis.
Sono così partita alla volta del supermercato sotto casa, compiendo la traversata di quei duecento metri al sole manco fossero il Sahara. Da comprare: tè freddo per me e Nutella per Amando (si, perché affrontare il caldo solo per una bottiglia di tè mi pareva esagerato).
Entrare nel supermercato è stato come entrare in un'oasi. Fresco, quasi freddo. E poi vecchietti, vecchietti ovunque. Non ho potuto fare a meno di pensare ad un racconto di Stefano Benni un paio di anni fa: estate torrida in città ed i vecchietti che si rifugiano a trascorrere le giornate nel supermercato.
Mica scemi.
Dato che è dagli anziani che viene la saggezza, mi sono conseguentemente adeguata. Dai cinque minuti di spesa che avevo programmato, sono felicemente arrivata ad una mezz'oretta abbondante.
Mi sono accorta che sarebbe potuto essere molto di più quando ho realizzato di essere ferma davanti al banco dei surgelati, decidendo se comprare o meno quella confezione formato famiglia di chele di granchio giusto da friggere. Ennò. Le chele di granchio surgelate no.
Alla cassa ho guardato con amore il mio tè, il mio barattolino di gelato ed altre minuzie. Uscire dal supermercato è stato come morire.
Midori che vuole tornare in quel posto felice e fresco
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